lunedì 16 giugno 2014

Nuova ruralità: chic e radical chic...ma esiste una terza via?

Corsi bio e appuntamenti green ormai ovunque: solo moda per guadagnare qualcosina con le nuove tendenze che stanno diventando di massa e in cui tutti ormai si buttano...che tristezza!


Noi che siamo partiti nel 2006 con la nostra proposta di Casale Il Sughero in anticipo sui tempi che andavano maturando, quando cioè ancora i temi della nuova agricoltura e della riscoperta della terra non andavano di moda e pochissimi ne parlavano, ci siamo resi conto con l’esperienza maturata fino ad oggi che c’è il rischio forte che questo nuovo fermento diventi l’ennesima moda del momento priva di contenuti e che questa moda (che già si sta palesando con tutta la sua forza) inflazioni l’ambiente e i veri temi del ritorno alla terra e si declini in due modalità lontane tra loro ma entrambe dominate dalla retorica.
Il tanto auspicato ritorno alla terra, ovvero ai temi della resilienza delle aree rese marginali dagli ultimi decenni di sviluppo industriale e terziaristico, attraverso una vero e proprio riscatto delle aree rurali e un rilancio dei temi dell’agricoltura e del sostentamento primario, cammina su di un crinale molto affilato dove è facile scivolare verso la retorica.
Da un lato è facile – come già accade da più parti – fare del ritorno alla terra un ulteriore tentativo post-sessantottino di rivendicazione dei temi più o meno sovversivi della sinistra militante (ritorno degli ecovillaggi, comuni, nipoti dei figli dei fiori, ecc..) con derive a tratti new age e a tratti orientalizzanti, fino a scadere nella strumentalizzazione politica della terra.
Da un altro lato è altrettanto facile cavalcare il ritorno alla terra sfruttando marchi e legislazioni comunitarie per mettere sul mercato più o meno veritieri prodotti super titolati dei migliori marchi di qualità, in parte comprati e in parte ottenuti con la retorica al fine di fare business conquistando i mercati con prodotti di nicchia costosissimi, così travisando completamente la natura sincera dei prodotti della terra e il loro valore antropologico di sussistenza e di identità territoriale di appartenenza.
 In entrambi i casi si strumentalizza il tema della terra, si fa retorica e si gioca con la tradizione: nel primo caso facendo finta che nulla sia cambiato e trastullandosi nell’atteggiamento da vecchi contadini; nel secondo caso facendo della memoria solo marketing per un successo di mercato. In entrambi i casi si attinge ai depositi della memoria con retorica. In entrambi i casi la dimensione del racconto è quella della favola.
Invece il vero gesto rivoluzionario, ma scomodo perché fa guadagnare poco e non va di moda, è uscire dalla retorica della nostalgia. È possibile fare agricoltura e turismo, abitare un territorio senza vendere la favola della nostalgia.