domenica 28 ottobre 2012

Turismo e 'anti-turismo': inflazioni linguistiche e pratiche devianti

Ai nostri giorni che vanno di moda termini come 'sostenibilità', 'ecologico', 'responsabile', 'naturale', 'biodiversità', 'eco-compatibilità', 'biologico', nel campo del turismo si parla di conseguenza sempre più spesso di 'agriturismo' anziché di hotel, di turismo 'sostenibile e responsabile', di turismo 'ecosostenibile', di viaggio ecologico, di 'agri-campeggio' anziché di campeggio, di 'villaggio rurale' anziché di residence, di 'residenza rurale' anziché di villa. Anche il Cilento ne è pieno...
Molto spesso però abbiamo a che fare con l'ennesima moda linguistica che cela strategie di marketing dove nel migliore dei casi abbiamo un alberghetto di campagna con un po' di terreno anziché affacciarci su di una strada statale. 
Infatti tante strutture ricettive cosiddette 'agri-turistiche' che seguono questa tendenza non fanno altro che aggiungere qualche animale o qualche orticello negli spazi comuni, dove però continuano a trovare posto piscine, aria condizionata e tutti i confort della civiltà industriale. Ma nei fatti non sono altro che ciò che sono sempre state, luoghi di svago e di vacatio per turisti frettolosi e disattenti che ancora una volta - e oggi nella declinazione del verde e della natura - vogliono svagarsi prima di ritornare in città.
Questo si chiama consumo del territorio e sottintende una concezione del naturale e di ciò che non appartiene ai sistemi cittadini solo come finalizzato allo svago provvisorio, ciò che chiamo la 'disneyland-izzazione' del mondo: ovvero l'altro inteso come riposo o svago alla ricerca dell'inedito e del divertente prima di ritornare nei ranghi cittadini il lunedì mattina o a fine estate.
Questo atteggiamento ha snaturato luoghi sublimi rurali e con l'illusione del progresso e della ricchezza li ha trasformati da luoghi dell'abitare a luoghi dell'apparire, da territori produttivi a territori di passaggio, da luoghi ciascuno con una identità a non-luoghi tutti tristemente uguali a se stessi.
Gli effetti sono stati la proliferazione di troppi lungomare al posto di orti marini, porti al posto di insenature ricche di pesce, strade al posto di campi, villaggi turistici e campeggi al posto di pascoli e uliveti, lidi al posto di spiagge, alberghi al posto di case, agriturismi al posto di fattorie, ristoranti al posto di bivacchi e rifugi, piste di sci al posto di vallate innevate, bar al posto di case di pescatori, e chi più ne ha più ne metta...
Ciò che conta non è essere ma apparire, non coltivare e produrre ma vendere prodotti 'tipici', non allevare animali per l'auto-sostentamento ma far fare il giro sul pony al cliente di turno.
E' per questo che crediamo che ci si debba smarcare da un vocabolario simile e tanto pericoloso e che non basti più parlare di turismo lento, sostenibile, ecologico, bio, responsabile, alternativo, perché è il termine 'turismo' che non va bene, la sua etimologia, la sua modalità profonda che deve essere rifiutata. 
Chi fa un giro, un tour, deve piuttosto fare un viaggio che inizia dentro se stesso prima di mettersi in auto magari con navigatore, deve imparare a viaggiare: ecco che il turista deve lasciare il posto al viaggiatore, il cliente all'ospite che chiede e non pretende di entrare in un luogo solo perché paga. Una persona che rispetti il posto in cui va e che si muova per accrescersi e migliorarsi e migliorare e non per sfogare le proprie frustrazioni e smaltire lo stress che ha accumulato e che si porta dietro.
Per essere viaggiatori bisogna essere pronti e forti, non bisogna fuggire dalla propria realtà perché ciò che sta fuori dalle città non è una pattumiera dove vomitare se stessi per poi ricominciare da capo ma il luogo dell'incontro e della crescita. 
Oggi il turista è l'ultima declinazione del consumo, l'ultima declinazione dei conquistadores, la moderna accezione del colonialismo, agito però questa volta da attori a loro volta già colonizzati e che si comportano esattamente come si vuole che si comportino: fuga temporanea dalla loro realtà, invasione di luoghi sublimi, depauperamento delle risorse, consumo del territorio e arricchimento di pochi che gestiscono la disneyland globale dell'industria del turismo.
Per questo parliamo di anti-turismo come pratica che rifiuta questa categorizzazione dell'agire e del mondo. E la rivoluzione può partire dal basso: ogni struttura micro-ricettiva in territorio rurale (come la nostra e come tante altre) e che a suo modo per quello che può presidia uno dei tanti territori abbandonati e residuali dovrebbe portare avanti la sua battaglia contro il turismo proponendo e suggerendo un modo di stare al mondo differente, una ospitalità rurale, incentrando la sua attività anzitutto sulla produzione di beni primari e impegnandosi in una comunicazione che essa per prima rispetti il luogo che la accoglie, così come dovrebbe saper accogliere ospiti e non 'registrare clienti'.

4 commenti:

  1. ciao amedeo sono mariocafiero sono daccordo con te credimi non e facile mantenere e mantenersi pur di non scendere a patti con persone che detengono il monopolio di questa disneiland ma ci riusciro a creare una clientela che mi rispetta per quello che sono e mi fa piacere che ci siano persone con questa sensibilita ti saluto

    RispondiElimina
  2. Grazie Mario per la tua testimonianza, un giorno dobbiamo rivederci. Anche per noi non è facile non scendere a compromessi e ti capiamo bene. Ci fa piacere che ci siano coscienze come la tua sul territorio. Un abbraccio!

    RispondiElimina
  3. Sto trattando l'acquisto di una casa: se tutto va bene anch'io voglio fare un'attività (più in piccolo perchè ho già un vivaio) ispirata a questa filosofia. Ci risentiamo. Complimenti!!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Bene,in ogni caso fatti sentire che possiamo conoscerci e collaborare insieme, a presto!

      Elimina